Assoluzione di genere
- DB

- 22 set 2024
- Tempo di lettura: 2 min
"E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal pregiudizio. Amen"
La maggior parte delle donne, si veste in un certo modo per farsi guardare dagli uomini. Non c’è molta altra spiegazione.
Una semplice - e molto condivisa - osservazione che viene fatta quando si parla di abbigliamento femminile e che mi suona sempre come assurda. Sarà che sono cresciuta con Sex and the City e che quando vivevo a Milano risparmiavo i soldi della spesa per comprarmi Vogue, ma quando faccio shopping, lo spirito che mi anima è il desiderio di indossare qualcosa che mi sembra mi stia bene, perché per me la forma è sempre stata parte della sostanza, e indossare qualcosa che mi valorizza, mi fa sentire a mio agio. Insomma per me non è una questione di seduzione ma di stile. Non sarà così per tutte, ma di sicuro non lo è solo per me.
Premesso ciò, non nego che gli uomini possano essere anche molto affascinati da certe scelte di stile ma questo non significa che siano sempre loro a dettarle. Anzi, considero questa interpretazione una sorta di bias cognitivo, una distorsione della realtà che porta le persone a interpretare le informazioni in modo fuorviante. E questo fenomeno riguarda uomini ma anche donne: si comincia a pensare che scoprire la pelle sia un segnale ben chiaro, che diventa facilmente una colpa, quando la realtà - al di là dei retaggi culturali - può essere ben diversa. E in molti casi lo è, in effetti.

Questo meccanismo mentale, alla lunga, può danneggiare la capacità di gestire relazioni interpersonali. Alla fine è tutta una questione di linguaggio, che è la forma comunicativa attraverso la quale le persone si relazionano. E il linguaggio di basa su simboli, che formano i codici. Anche gli abiti possono essere dei simboli, però un codice, per essere funzionale, deve essere interpretato alla stessa maniera da chi invia e da chi riceve il messaggio. E se “si mette la gonna perché le piace come le sta” diventa “si mette la gonna per mettere in mostra le gambe”, abbiamo un disturbo nella comunicazione, una decodificazione errata.
E rieccoci alla distorsione cognitiva. Ma si può porre rimedio, come in tutti i casi in cui si rischia un’interpretazione fuorviante. Per esempio nel 2020 il Messale ha subito significative modifiche che tengono in considerazione la più recente traduzione della Sacra Scrittura, passando dal «E non ci indurre in tentazione» del Padre Nostro, al «Non abbandonarci alla tentazione», che fa una bella differenza! Significa spostare il focus da chi conduce alla tentazione, a chi è tentato. Qualcosa su cui riflettere, considerando che secondo Istat per quattro uomini su dieci (il 39%) la violenza di genere è colpa delle donne.
Tornando alle scelte di stile, due uomini su dieci (il 19,7%) pensano che siano sempre le donne a provocare la violenza sessuale, per via del loro modo di vestire. E a pensarlo di altre donne sono anche le donne stesse, seppur in percentuale minore. Quando si arriverà all’assoluzione di genere? Quando si supererà la convinzione che siano sempre le donne a indurre l’uomo in tentazione? E quando si raggiungerà la solida consapevolezza che in ogni caso è l’uomo a decidere se cedere o meno alle presunte tentazioni, indipendentemente dalle minigonne?




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